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PRIMA DELLA LIBERTA' - 1944: I MESI DELLA GRANDE PAURA Il libro scritto da Gabriele Brunini

ARTICOLO IN COSTRUZIONE....

A ottant'anni da quel 1944 che vide il passaggio del fronte sul territorio del comune di Borgo a Mozzano e la liberazione del paese, con l'arrivo dei soldati brasiliani della FEB e poi degli americani e degli inglesi, Gabriele Brunini, appassionato della storia della sua terra, ha scritto questo libro che è stato presentato, di fronte a un pubblico delle grandi occasioni, il 5 ottobre 2024. A presentarlo, insieme all'autore, il Sindaco di Borgo a Mozzano Patrizio Andreuccetti e l'editore Andrea Giannasi. Un sluto è stato portanto anche da Piergiorgio Pieroni Presidente del Comitato Linea Gotica di Borgo a Mozzano e del Museo della Memoria.
Il libro viene posto su questo sito internet (www.gabrielebrunini.it) per essere consultato ed aggiornato.


QUELLA PESANTE EREDITÀ DELLA MEMORIA DI GUERRA
di Andrea Giannasi*


Gabriele Brunini porta a compimento, nell’ottantesimo della Liberazione del comune di Borgo a Mozzano, un lungo lavoro di ricerca che completa quanto già la bibliografia esistente aveva in parte affrontato. Grazie ad una minuziosa rico struzione l’autore permette al lettore di conoscere la grande storia con le vicende nazionali, spingendosi poi fin dentro i meandri della “piccola storia”, quella per sonale, spesso intima (ovvero fatta di sentimenti individuali), che hanno dovuto affrontare gli abitanti del territorio del comune della valle del Serchio. La storia di Borgo a Mozzano non è dissimile da quella di altri luoghi che hanno dovuto subire l’occupazione tedesca, il lavoro con la TODT (ovvero l’organizzazione tedesca creata per ottemperare alle richieste militari per l’edificazione di opere di fortificazioni), gli sfollati con il carico delle loro privazioni, gli ultimi residui fascisti riuniti nuovamente sotto la sanguinaria Repubblica Sociale Italiana e il crescente sentimento di resurrezione raccolto nella Resistenza e poi, natural mente, la guerra con i bombardamenti aerei e gli scontri. Brunini compie un lavoro di ampia veduta inserendo poi quelle testimonianze e quei ricordi che, appartenendo alle fonti orali, mantengono inalterato il tratto del doloroso presente vissuto. Le fotografie hanno il prezioso e unico compito di dare un volto ai testimoni, aiutando i tanti lettori che ritroveranno volti cari o conosciuti. Tra gli interpreti di questa storia i sacerdoti: come il Proposto di S. Iacopo Mons. Alberto Santucci, il Rettore di S. Rocco don Duilio Magnani, don Sergio Giorgi, il Pievano don Udone Diodati, don Giuseppe Tolomei, don Giovanni Biondi, che rappresentarono spesso l’unico riferimento in comunità abbandonate dalle autorità civili e alla mercè della soldataglia tedesca. E poi i partigiani come il tenente Mario Amaducci o l’ing. Cesare Marchi che furono ponte tra un prima e un dopo e protagonisti della Resistenza plurale, fatta da tante anime e idee diverse dalla quale poi è nata la repubblica democratica. Patrioti che tra le prime azioni nel novembre del 1943 aiutarono e dettero asilo a tre ufficiali britannici fuggiti dai campi di concentramento per prigionieri di guerra: il colonnello John Spencer Trendell e i maggiori Clifford Douglas Bland e Geoffrey Parkin. E poi la figura che Brunini mette giustamente in risalto: quella del geometra Sil vano Minucci autore di un accurato e sistematico rilevamento topografico delle 3 opere di difesa, delle aree minate e di tutti gli appostamenti difensivi tedeschi lungo la linea Gotica. Rilevamento che poi venne fatto pervenire al comando della V armata americana. Inoltre un piccolo capitolo è dedicato al prof. Silvio Ferri che salvò la comunità di Partigliano. L’autore non manca di raccontare della distruzione del monumento sito a Val dottavo che era dedicato ai martiri fascisti del 1921, gesto che in parte allonta nava venti anni di regime. Così come le operazioni legate all’epurazione tese ad espellere tutti coloro che durante il ventennio si erano fortemente compromessi con il fascismo. Tentativo, quello di creare una nuova classe dirigente, poi can cellato nel giugno del 1946 dal ministro della giustizia, il comunista Palmiro Togliatti che presentò un provvedimento di clemenza e amnistia di ogni reato. Infine la liberazione da parte delle truppe alleate formate dai fanti del 6° reggi mento della Força Expedicionaria Brasileira. L’autore riporta la ricostruzione compiuta da Marcello Martini nella quale si presenta il pracinhas Ernani Lippi, la cui famiglia era di Oneta. «Prima della libertà. 1944 i mesi della grande paura» di Gabriele Brunini è un prezioso atlante della storia che, a ottanta anni dalla Liberazione, dona ai lettori il testimone della memoria di guerra. Quella grande “dimenticata” da parte delle società occidentali, che non riescono a capirne più l’intrinseco orrore quotidia no. Ecco l’eredità che dovremmo riprendere da quel tragico settembre 1944, tornando sui sentieri dell’umanità e della cristiana comprensione, divenendo ognuno di noi costruttore di pace.
Lucca, settembre 2024
Andrea Giannasi
*Direttore del Centro Studi di Storia Contemporanea “Carlo Gabrielli Rosi” di Lucca Editore di TRALERIGHE LIBRI 


PREFAZIONE

Borgo a Mozzano, Linea Gotica, 1944 


Accolgo con piacere il cortese invito rivoltomi da Gabriele Brunini di voler scrivere una breve prefazione a questo suo bel libro. Con piacere per almeno tre validi motivi: il primo è da rintracciarsi senz’altro nella lunga e ormai con solidata amicizia che mi lega all’autore; gli altri due, invece, mi riportano con la memoria a luoghi e a periodi a me cari: a luoghi, perché sono nato a Cerreto, battezzato nella chiesa di San Giovanni Battista da don Luigi Caselli e nel pa ese ho vissuto fino a due anni, a casa dei nonni, quando poi con la famiglia ci trasferimmo a Lucca, dove papà lavorava; e anche a periodi, perché mi sono occupato di queste interessanti vicende storiche, relative ai difficili anni 1943 1945, proprio nel periodo iniziale della mia formazione accademica, e cioè – or mai – ai lontani primi anni del nostro secolo, allorquando detti alle stampe, con l’Istituto della Resistenza e dell’Età contemporanea in provincia di Lucca, un grosso volume, basato su una ampia e rilevante documentazione inedita (Giuseppe Pardini, La guerra e la Repubblica sociale italiana in provincia di Lucca, San Marco, 2001), che ritengo possa ancora essere utile per non pochi aspetti e qualche ulteriore approfondimento (1). Per queste ragioni ho letto con attenzione la meticolosa ricerca intrapresa da Brunini, apprezzandone non pochi aspetti, aspetti e peculiarità che fanno del resto di Borgo a Mozzano e del suo territorio comunale un interessante caso di studio, in quanto era previsto proprio in questa zona il nerbo della realizzanda linea difensiva tedesca, che nel tempo avrebbe poi preso l’improprio ma mitolo gico nome di Linea Gotica. Il lavoro di Brunini indugia su diversi aspetti che una ricostruzione di storia locale può e deve prendere in attento esame, sì che vengono infatti approfondite con acume le vicende connesse al campo di lavoro e di raccolta realizzato dai te deschi e sito in località Socciglia oppure allo sfollamento degli abitanti dei paesi di Anchiano e di Diecimo. Vengono poi passati in rassegna i gravi fenomeni di rastrellamento a danno delle popolazioni per la cattura e, quindi, il reclutamen to degli uomini ai fini del lavoro nelle organizzazioni “Todt” adibite appunto all’approntamento della linea difensiva, oppure addirittura per la deportazione al lavoro nel Reich. Emergono, poi, le varie forme di “resistenza” – non ultima quella militare – che presero gradatamente piede e forma nel territorio, almeno f ino al mese di settembre del 1944, che fu effettivamente drammatico, perché in quei giorni si stava realizzando – del resto - il veloce ripiegamento tedesco oltre la prevista linea difensiva nel territorio borghigiano e la realizzazione di capi saldi più sicuri al confine tra la media Valle del Serchio e la Garfagnana. Di lì a breve sarebbero arrivate, finalmente, i “liberatori”, nella fattispecie dei reparti brasiliani (Corpo di spedizione Brasiliano) aggregati alla V Armata statunitense, prima, e della 92ª Divisione “Buffalo” Usa, poi. Nel libro viene fatto accurato impiego della vasta bibliografia finora prodotta da storici, scrittori e giornalisti, ma Brunini aggiunge a quanto noto anche inte ressanti testimonianze inedite e i ricordi dei protagonisti di quei giorni difficili (in particolare si rivelano una ottima fonte le preziose memorie dei sacerdoti di Diecimo, Cerreto e Corsagna), che rendono il suo lavoro una preziosa ricostru zione in cui le memorie occupano uno spazio decisivo. Anche nel richiamare le testimonianze, purtroppo, dei fatti di sangue più gravi, delle rappresaglie (per fortuna non molte al Borgo) e delle violenze. Molti episodi, per concludere, sono ben raccolti e analizzati nel libro di Gabriele Brunini, episodi che sembra sempre opportuno non dimenticare mai, a maggiore ragione nei tempi nostri, visto che la guerra purtroppo sembra affacciarsi ancora alle porte d’Europa.
Giuseppe Pardini
(Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”)


(1) Oggi si veda nella ristampa aggiornata e ampliata, G. Pardini, “Gli italiani siamo noi”. Guerra, Repubblica sociale e Resistenza in provincia di Lucca (1940-1945), Edizioni dell’Orso, Alessandria, 2012. 

PREMESSA

A ottant’anni esatti dal quel 1944 che per Borgo a Mozzano e zone limitrofe fu il periodo più terribile dei cinque anni della seconda guerra mondiale, ho voluto cercare notizie, raccogliere testimonianze e avanzare considerazioni su quanto allora avvenne qui da noi, ritenendo che anche questo mio lavoro possa essere utile a ricordare, a riflettere, ad approfondire. In questo libro si parla di una guerra lontana nel tempo, proprio oggi che in Europa, dopo tanti decenni di pace, la guerra è tornata a farsi sentire, con tante vittime e distruzioni, che pensavamo appartenessero al passato. Questo è per tutti motivo di tanta tristezza e angoscia: ma non si deve perdere la speranza della pace e del ritorno di una serenità che oggi abbiamo un po’ perduto. Il 1944 fu un anno di grande paura, che a Borgo a Mozzano si concluse, fortuna tamente, già alla fine di settembre di quell’anno, con il ritiro dei tedeschi verso la Garfagnana e l’arrivo degli Alleati. Poi venne il 25 aprile 1945: la data che suggellò la fine della guerra, la Libera zione dell’Italia dall’occupazione nazista, la fine del fascismo, l’affermarsi del la Democrazia e della Libertà, che saranno solennemente sancite nella nostra Carta Costituzionale. Venne la Pace, che in Europa abbiamo potuto apprezzare per oltre 70 anni.
G. B.

PRIMA DELLA LIBERTA’: 1944, i mesi della grande paura


La seconda guerra mondiale è stata una guerra diversa da tutte quelle che l’a vevano preceduta. Una guerra che non si è combattuta soltanto su fronti lontani, ma che ha riguardato anche le popolazioni di città e paesi, che ha provocato un numero enorme di vittime, non solo tra i soldati combattenti, ma anche tra i civili che, loro malgrado, sono stati pesantemente coinvolti. Una guerra che ha toccato i livelli più bassi di umanità e che ha mostrato la ferocia e la cattiveria più insensata. Basti pensare che la seconda guerra mondiale ha provocato, solo in Europa, 40 milioni di morti e circa 6 milioni sono state le vittime ebree della Shoah, che Winston Churchill definì «il crimine più grave e più mostruoso mai perpetrato nella storia dell’umanità». In Italia la guerra mondiale ha provocato 138.000 morti tra i civili e 319.000 tra i soldati, chiamati a combattere sui vari fronti di guerra, che andavano dalle steppe della Russia ai deserti dell’Africa. Quella guerra ha coinvolto anche le nostre contrade e tante famiglie delle nostre comunità hanno conosciuto lutti e disperazione, per la scomparsa di tanti giova ni soldati, soprattutto alpini, caduti o dispersi nella disastrosa campagna di Rus sia (1941/1943). Come documentato nel libro che ho scritto insieme all’amico Marcello Martini (“Dal Serchio al Don solo andata” - Vanzi Editrice, 2010), i soldati del comune di Borgo a Mozzano morti nel secondo conflitto mondiale sono stati ben 145 (di cui 79 sul fronte russo e 66 su gli altri fronti di guerra). I bombardamenti aerei hanno distrutto città, paesi e monumenti insigni della storia. Il passaggio degli eserciti ha provocato tantissime vittime. Stragi assurde hanno visto manifestarsi comportamenti bestiali. La guerra è stata davvero “mondiale” e tutti i continenti hanno patito morti e distruzioni. Anche la Toscana e la Lucchesia hanno pesantemente sofferto le conseguenze della guerra. L’ esercito tedesco in ritirata ha lasciato segni in delebili di inaudita ferocia, di cui S. Anna di Stazzema, con i suoi 560 civili barbaramente uccisi (di cui 130 bambini), è solo la strage più grande. Anche nell’immediatezza dell’arrivo delle truppe alleate la violenza è stata assurda ed incomprensibile, come testimonia, ad esempio, l’irruzione nella Certosa di Far neta, a Lucca, nella notte tra l’1 e il 2 settembre, a poche ore dalla liberazione della città, con la conseguente uccisione di 32 persone, tra religiosi e civili (2). Anche il territorio del comune di Borgo a Mozzano è stato interessato, per circa un anno, dall’occupazione tedesca; un tempo necessario per costruire quel poderoso sistema di fortificazioni che doveva servire a fermare gli eserciti Alle ati che risalivano la penisola. Proprio sul nostro territorio si sarebbe dovuta combattere una battaglia epoca le, per fermare le truppe provenienti da Lucca, che volevano risalire la valle del Serchio verso la Garfagnana e il nord. E nel punto dove la valle si fa più stretta, le alture, le propaggini, i monti della riva destra e della riva sinistra del Serchio erano diventati una munitissima linea di difesa, fatta di bunker, di trincee, di gal lerie scavate nella roccia, che andava dalle alture sopra Valdottavo fino ai monti di Anchiano, a quelli sopra Diecimo e Borgo a Mozzano. Una struttura difensiva a cui, dall’ottobre 1943 al settembre 1944, lavorarono migliaia di persone, pri gioniere o precettate, di cui molte trattenute, in condizioni di vita difficilissime, nel campo di lavoro o di concentramento della Socciglia, vicino ad Anchiano. Il nostro territorio era parte integrante di quella linea di difesa che i tedeschi chia marono “Linea Verde”, ma che da tutti è meglio conosciuta come “Linea Goti ca”. Costruito attraverso le dorsali e le valli appenniniche nel punto più stretto dell’Italia peninsulare, a nord di Roma, lo “sbarramento” si sviluppava per circa 320 chilometri, lungo un tracciato che andava dalla provincia di Massa Carrara e dell’ Alta Versilia, sul Tirreno, fino a Pesaro, sull’Adriatico, tagliando in pieno il territorio di Borgo a Mozzano. La sua profondità si estendeva sul territorio da 15 a 50 chilometri. Gabriele Caproni, in un suo recente libro dal titolo La Linea Gotica nella Valle del Serchio, stima che abbiano lavorato alla costruzione della linea difensiva circa 18.000 genieri tedeschi e circa 50.000 lavoratori italiani. L’assalto alla Linea Gotica, come scrive sempre il Caproni, iniziò il 25 agosto 1944 sul fronte adriatico e dopo settimane di duri scontri tra il 20 e 21 settembre i reparti dell’Ottava Armata Britannica liberarono San Marino e Rimini, mentre gli americani della Quinta Armata liberavano i passi del Giogo e della Futa. Attorno al 20 settembre 1944 i tedeschi cominciarono a smobilitare anche dal comune di Borgo a Mozzano, ritirandosi in direzione di Gallicano e, a partire dal 27 settembre, tutto il territorio venne finalmente liberato, come attesta la lapide posta sulla facciata del palazzo comunale, nel decennale della liberazione (il 27 settembre 1954). Se la preventivata battaglia si fosse combattuta, chi sa quali devastazioni avremmo avuto e chissà quali più grandi tragedie avrebbero vissuto le nostre popolazioni, per le quali era già pronto un piano di evacuazione e sfollamento totale, verso la zona di Sassuolo, in provincia di Modena, che riguardava tutte le persone e tutto il bestiame. Il fronte di guerra, per esigenze tattiche e strategiche, si attestò, fino all’ aprile 1945, in una zona più alta della valle del Serchio, tra Gallicano e Castelnuovo Garfagnana, molto meglio difendibile per i tedeschi e per le truppe della RSI; i nostri bunker, fortini e trincee rimasero, fortunatamente, inutilizzati. La guerra dichiarata da Mussolini il 10 giugno 1940 aveva logorato e stan cato l’Italia e gli italiani. Molti ormai vedevano allontanarsi sempre di più le possibilità di vittoria. Le truppe alleate, all’inizio di luglio 1943, erano sbarcate in Sicilia e si preparavano a risalire la penisola. All’interno della Casa Reale, dell’esercito e dello stesso partito fascista la crisi andava crescendo. Il 25 luglio 1943, dopo la seduta del Gran Consiglio, che mise in minoranza Benito Mus solini, il Re Vittorio Emanuele III fece arrestare il Duce e nominò il generale Pietro Badoglio capo del governo. Badoglio emanò il famoso proclama con la dichiarazione che la guerra continuava a fianco dei tedeschi. In estate, a Borgo a Mozzano, vennero chieste dal Prefetto le dimissioni del podestà Ubaldo Santini, fascista della prima ora e partecipante alla marcia su Roma del 28 ottobre 1922: dimissioni che il Santini rassegnò in data 29 agosto, ritirandosi nella sua casa di Valdottavo. Venne sostituito per un breve periodo dal suo predecessore Giuseppe Bacci, di Corsagna, in qualità di Commissario Prefettizio3. Dopo poco più di un mese d’incertezza e di confusione istituzionale, si arrivò all’armistizio, che fu annunziato attraverso i microfoni di Radio Algeri dal generale americano Dwight Eisenhower, l’8 settembre 1943, con questo comunicato: 3 Feliciano Bechelli – Piergiorgio Pieroni, Guerra e Resistenza a Borgo a Mozzano 11 “Il governo italiano si è arreso incondizionatamente a queste forze armate. Le ostilità tra le forze armate delle Nazioni Unite e quelle dell’Italia cessano all’i stante. Tutti gli italiani che ci aiuteranno a cacciare il tedesco aggressore dal suolo italiano avranno l’assistenza e l’appoggio delle nazioni alleate”. Era l’an nuncio dell’armistizio, firmato cinque giorni prima a Cassibile (il 3 settembre). L’armistizio segna uno spartiacque nella storia dell’Italia: finisce l’alleanza con la Germania nazista e contestualmente iniziano gli ultimi, difficili, sedici mesi di guerra; quelli delle stragi, dei bombardamenti, delle rappresaglie e della guerra civile, che portarono al 25 aprile del 1945. Il giorno stesso della firma dell’armistizio gli anglo americani sbarcavano a Salerno iniziando a risalire verso Nord. Alla fine del 1943 l’Italia Meridionale è sostanzialmente liberata e sotto il controllo del governo italiano presieduto da Badoglio che, intanto, il 13 di ottobre, ha dichiarato guerra alla Germania. L’esercito italiano, alla notizia dell’armistizio, sembrò sciogliersi come neve al sole: molti soldati tentarono il ritorno a casa, alle proprie famiglie e alla vita civile. Altri si unirono alle formazioni partigiane, in diversi casi prendendone il comando, anche grazie alla loro esperienza sui campi di battaglia; altri, pur troppo, furono fatti prigionieri o uccisi dai tedeschi. L’Italia si trovò ad essere una immensa terra di nessuno, dove le regole di guerra si persero e il conflitto divenne presto guerra ai civili. L’armistizio dell’8 settembre e la resa agli alleati colse un paese con gli ali menti razionati, diviso, lacerato, individualmente alla ricerca di una via d’uscita. Dopo trentanove mesi di guerra sopportati, iniziati con le folle oceaniche perva se dall’idea che sarebbe stato un conflitto lontano, combattuto in Africa, quasi indolore, e soprattutto veloce, gli italiani soffrirono di una vera crisi psicologica. In quei giorni maturò, per tanti italiani, secondo lo storico Renzo De Felice, la scelta del “primum vivere”: attendere, sopravvivendo, la fine, anelando la pace.(3). 

(2) Tra i religiosi fatti prigionieri nella certosa di Farneta c’era anche Alberto Palazzi, di Oneta, classe 1921, allora “giovane professo” dell’Ordine certosino. Palazzi fu portato nel campo di concentramento di Fossoli (MO) per essere inviato in Germania. Ma il provvidenziale intervento del Vescovo di Carpi sul comandante del campo riuscì ad ottenere la liberazione del Palazzi che riuscì a tornare a casa 
(3) Gabrio Lombardi, L’8 settembre fuori d’Italia, Mursia, Milano, 1966, p. 43


L’8 SETTEMBRE A BORGO A MOZZANO

 L’annuncio dell’armistizio, come ho già ricordato, venne dato nel pomeriggio dell’8 settembre 1943, attorno alle 18:30 dalla Radio. Era un mercoledì, ma a Borgo a Mozzano era giorno di fiera, la principale dell’anno, nel giorno in cui si celebra la natività della Madonna. Nonostante i tempi duri della guerra in paese c’era molta gente e quando si sparse la notizia molti si lasciarono andare a ma nifestazioni di giubilo; ci fu anche chi improvvisò un corteo per la via principale del paese, che andò man mano ingrossandosi con evidenti segni di entusiasmo e contentezza, con i partecipanti che gridavano “la guerra è finita”. L’entusiasmo di quel giorno di festa durò poco. Lo sbandamento dell’esercito italiano vide passare, anche dai nostri territori, soldati che cercavano di raggiungere i loro paesi e città per vie sicure e ci furono ex prigionieri alleati, fuggiti dai luoghi di prigionia, che trovarono rifugio ed aiuto anche in qualcuno dei nostri paesi. “A Borgo a Mozzano, dove - come ci ricorda lo storico Feliciano Bechelli in un suo scritto - il fascismo si è ben radicato, dopo l’8 settembre alcuni dei suoi esponenti locali più in vista hanno qualche problema: Romeo Barsanti viene incarcerato nel palazzo comunale e anche Giovanni Fazzi, guardia comunale, viene arrestato per qualche giorno” 5. Il fascio locale non ha più alla sua guida l’ uomo che, fin dalla nascita del PNF, era stato il potente segretario e “ras” indi scusso dei fascisti di Borgo a Mozzano: si tratta di Francesco Lotti, classe 1896, squadrista della prima ora e “marcia su Roma”, ragioniere comunale, che, nel luglio 1942 aveva deciso di partire volontario per la campagna di Russia, con il grado di tenente colonnello dei bersaglieri (Divisione Pasubio), risultando poi disperso nella tragica ritirata del gennaio 1943. In paese ci sono ancora numerosi abitanti, compresi i due parroci, don Duilio Magnani, Rettore della Parrocchia di S. Rocco e mons. Alberto Santucci, Propo sto di S. Iacopo. Al convento di San Francesco sono ospitate circa 300 persone: bambine, personale e suore dell’Istituto Giovanni Pascoli di Livorno, sfollate dalla città labronica a seguito dei distruttivi bombardamenti alleati (i “livornesi” arrivati nel maggio 1943 vi rimasero fino al febbraio 1946, NdR). I fatti storici si susseguono: all’alba del 9 settembre il Re Vittorio Emanuele III con la famiglia reale, il maresciallo Badoglio, ministri e alti gradi delle forze armate, fuggono da Roma e raggiungono Brindisi via mare. Il 12 settembre, appena quattro giorni dopo l’annuncio dell’armistizio, Benito Mussolini viene liberato dalla prigione di Campo Imperatore, sul Gran Sasso, da un commando tedesco e portato in Germania. Il 23 settembre nasce la Repubblica Sociale Italiana, nella parte di territorio italiano controllato dai tedeschi.
A Lucca, come in tutto il resto dell’Italia, c’è una totale incertezza e nemmeno le autorità (Prefetto o Comando del Presidio Militare) hanno disposizioni sul cosa fare. Alcuni esponenti dei partiti antifascisti, che si erano ricostituiti dopo il 25 luglio, già l’8 settembre, si recano dal Prefetto offrendo la loro collabora zione. Fanno parte di questa delegazione: Augusto Mancini per Democrazia del Lavoro, Giorgio Di Ricco per il Partito Repubblicano e Giovanni Carignani per la Democrazia Cristiana. Ma non hanno alcuna risposta dal Prefetto Guglielmo Marotta, proprio per la mancanza di ordini da Roma, essendosi interrotte anche le comunicazioni telefoniche e telegrafiche. Da notare che il prof. Augusto Mancini (1875-1957), eletto per la prima volta deputato del Regno d’Italia nel 1915, era amico personale dell’ing. Cesare Mar chi e di sua moglie Vera Pellegrini di Borgo a Mozzano. Lo testimonia anche questa foto del 1939 nel giorno del matrimonio dei coniugi Marchi-Pellegrini che si svolse nella chiesa del SS. Crocifisso a Borgo a Mozzano. Il prof. Mancini è l’uomo con la barba a colloquio proprio con Cesare Marchi. Il Marchi, come vedremo in seguito, nel 1944 sarà il Presidente del CLN di Borgo a Mozzano, mentre il prof. Mancini, nello stesso anno, fu il primo Presidente del Comitato di Liberazione clandestino della città di Lucca. Comincia un periodo estremamente difficile per tutti ed anche per la popolazione di Borgo a Mozzano.

L’ ARRIVO DELLA TODT

Nella totale incertezza i tedeschi occupano Lucca e la Provincia e ripristinano i collegamenti con Roma. Lo stesso Prefetto invia il giorno 11 settembre al Mi nistero dell’Interno il seguente, breve telegramma: “Provincia est occupata mi litarmente forze tedesche alt. Disarmo Presidi Militari avvenuto senza turbare ordine pubblico cui tutela resta affidata Arma CC.RR. (Carabinieri Reali, NdR) alt Preoccupa situazione alimentare”. La Repubblica Sociale riorganizza l’ap parato statale e nei comuni, compreso Borgo a Mozzano, nomina dei Commissa ri Prefettizi, che sostituiscono i Podestà. A Lucca viene nominato Prefetto Mario Piazzesi, fascista della prima ora, mentre a Borgo a Mozzano, dal settembre del 1943 e fino alla liberazione del settembre 1944, si susseguono nell’incarico di Commissari Giuseppe Bacci, già podestà negli anni ’30, Alfredo Martinelli, geometra borghigiano e il tenente della Brigata Nera Carlo Dinelli (classe 1907), che era di Piaggione. Già nel mese di settembre, prima ancora che arrivassero disposizioni dal nuovo governo della RSI, a Borgo a Mozzano viene riaperta la sede del fascio (cosa che avverrà solo a Lucca, Viareggio e Forte dei Marmi)6. I tedeschi, presenti sui territori non perdono tempo e decidono di accellerare i lavori di co struzione delle fortificazioni della “Linea Gotica”, che affidano all’ Organizzazione TODT (O.T.), fondata in Germania da Fritz Todt e pas sata poi, alla morte di questi nel 1942, sotto la guida de “l’architetto del Reich” Albert Speer, che come il suo predecessore, non si risparmiò nell’impiego di uomini e mezzi. Gli ingegneri e dirigenti della TODT che ar rivarono in Lucchesia avevano come loro capo l’ingegnere Hosenfled, il quale collocò la sua sede a Borgo a Mozzano: quella tecnica a Pa lazzo Giorgi e quella amministrativa a Palazzo Santini, mentre nella Villa di Morante, nei pressi del ponte del diavolo, c’era il Comando militare tedesco. In soli dieci mesi si riuscì a creare tutte le difese che partivano dal Piaggione e dalla Brancoleria, toccavano Domazzano e arrivavano fino a Borgo a Mozzano, con un intersecarsi di camminamenti, muri anticarro, postazioni armate, gallerie, campi minati e chilometri e chilometri di filo spinato. Già il 23 ottobre 1943 il Commissario Prefettizio del Comune di Borgo a Mozzano comunicava alla Direzione della Cucirini Cantoni Coats di Lucca (Acquacalda) che il locale Comando tedesco dell’Organizzazione TODT aveva richiesto la disponibilità dello stabilimento sito in piazza della stazione (quello che è stato lo stabilimento della Record ed oggi la sede dell’ITI “Ferrari”) “per alloggiarvi 500 operai che devono arrivare”, uomini destinati proprio alla costruzione delle fortificazioni. Interessante è quanto riportato in un testo manoscritto anonimo, di cui sono in possesso, scritto da un abitante della Brancoleria, che par la, con dovizia di particolari, della realizzazione delle fortificazioni sul monte Pittone e nelle zone limitro fe, che interessavano il territorio di Borgo a Mozzano, Diecimo ed An chiano in particolare. Scrive dunque l’anonimo estensore: “Nell’ottobre 1943 si vide arrivare i primi ufficiali tedeschi in automobile a Brancoli e poi salire in tutti i monti per spezio nare se erano posizioni adtte per di fesa; queste visite venivano sempre più frequenti e ufficiali di alto gra do con raffinate carte geografiche, dimandando informazioni alla minuta. Gli abitanti di Brancoli erano dispiacenti di vedere eseguire lavori di fortificazioni, ma si seppe poi da un interprete che tutto il costone dei monti partendo da Diecimo fino alle Pizzorne doveva essere una linea seriamente armata e fortificata, per fare una soda resistenza quando arrivavano gli Alleati. I Brancolini si illudevano pensando che questo lavoro non venisse attuato, oppure che finisse prima la guerra, ma nel mese di novembre principiò ad arrivare l’organizzazione T.O.D. cioè una massa di operai che diretti e disciplinati da comando tedesco erano adatti a fare le fortificazioni, e questi operai che erano garfagnini occuparono tutte le case e i casotti dei monti. Erano forniti di letti e coperte ed erano divisi in centurie diretti dal capo centuria. Arrivava pure il materiale necessario per eseguire il lavoro e cioè a centinaia di pale, picchi ed attrezzi per officine da fabbri; arrivava pure cemento, rena, tavole da costruzione ed erano ricercati operai di qualunque me stiere, fabbri, falegnami, muratori, segantini, minatori, carpentieri e motoristi, poiché arrivavano anche diversi motori per compressori, e cioè questa organiz zazione di operai si chiamava T.O.D. pensava pure a rifornire viveri e le cucine erano sul posto di lavoro e il vitto era discreto…”. Il manoscritto, vergato su quaderni di scuola, si compone di 221 pagine che descrivono dettagliatamente i circa dieci mesi di presenza dei tedeschi in Brancoleria per la costruzione delle fortificazioni ed ha come titolo “La Brancoleria divenuta fronte di guerra dal 7 al 24 settembre 1944”. Dal manoscritto si comprende che gli gli operai lavorarono alle fortificazioni fino al 7 settembre 1944. Ma l’errore commesso dai tedeschi, come scrive lo storico garfagnino Paolo Marzi, fu però clamoroso, un vero e proprio smacco morale per gli infallibili ingegneri TODT, che non considerarono il fatto che, costruendo posizioni di fensive in quel tratto di valle, che va dalla Brancoleria a Borgo a Mozzano, si rendeva possibile un’ eventuale incursione americana attraverso la Val di Lima (raggiungibile da Pistoia), facendo rischiare ai tedeschi di essere presi addirittura alle spalle. Il feldmaresciallo Albert Kesselring, comandante supremo delle forze tedesche in Italia, ordinò pertanto, più o meno nell’agosto del 1944, di far indietreggiare il fronte di circa 20 chilometri, attestandone gli avamposti nelle zone di Molazzana, Gallicano, Ponte di Campia, molto più difendibili. Anche nella nuova zona del fronte furono impiegati, nei lavori forzati di costruzione di postazioni difensive, altri garfagnini, facilitati questa volta nei lavori dalla morfologia delle montagne; la linea fu modellata seguendo le postazioni vantaggiose che offriva la natura. Complessivamente si calcola che in tutti i bunker e gallerie costruite nella Val le del Serchio, abbiano lavorato, al servizio della TODT, più di tremila uomini delle zone circostanti e molti rastrellati in varie zone della provincia ed anche oltre. Tutta questa massa di uomini, scrive ancora lo storico Paolo Marzi, fu im piegata, per dodici mesi circa, a lavori forzati, duri, interminabili, senza essere minimamente pagati, se non con pasti, rappresentati spesso da una inqualifica bile brodaglia.
Evidentemente il trattamento, tra i rastrellati obbligati al lavoro e le maestranze locali che avevano accettato di lavorare per la Todt ricevendo anche una re tribuzione, era diverso. L’ ing. Pierpaolo Garibaldi, di Cerreto, che vive da molti anni a Milano ed ha raccolto in famiglia tante notizie che ha riportato in alcuni libri da lui scritti, descrive in questo modo il lavoro di suo padre nella costruzio ne del muro anticarro di Borgo a Mozzano: “Mio padre lavorava sotto la Todd alla costruzione del muro anticarro che chiudeva la vallata del Borgo, dalla Madonnina di Mao ai monti di Anchiano…..Era il solo lavoro disponibile in quei mesi e i tedeschi oltre alla paga, davano anche un pasto caldo, un mine strone di patate e cavoli con le lucciole del grasso di maiale che galleggiavano e ne avanzava assai da portare a casa nel pentolino. Così anche la nostra cena era assicurata”8. Anche il prof. Giorgio Matelli, emigrato a Boston negli anni ’50 del secolo scorso, in un interessante libro scritto in inglese nel 2014, dal titolo Across the gate a memoir, racconta che il padre era entrato a lavorare con la TODT nella primavera del 1944 portando con sé l’asino che possedeva ed era addetto al trasporto di materiali da costruzione. Riceveva un piccolo salario dall’Organiz zazione, in pagamento per un viaggio giornaliero con uomini di Oneta. Dopo la corsa giornaliera venivano autorizzati a tornare a casa. Secondo lo storico lucchese Feliciano Bechelli “a lavorare per la Todt sono due categorie. Da una parte i volontari che vengono pagati, tornano a casa la sera e talvolta vanno lì per sfuggire alla leva…..Insieme ai volontari ci sono i rastrellati, costretti a passare lì la notte” come veri e propri prigionieri, tratte nuti in condizioni sicuramente molto difficili.

(4) Cfr. La Repubblica Sociale Italiana e la guerra in provincia di Lucca, Giuseppe Pardini, Lucca 2001.  
(5) Pierpaolo Garibaldi, dal racconto “Gioconda fa la partigiana” – Book Sprint Edizioni- dicembre 2012


IL CAMPO DI CONCENTRAMENTO DELLA SOCCIGLIA

Fino a che il centro direzionale della Todt fu a Borgo a Mozzano, i lavoratori catturati durante i rastrellamenti, una volta finito il turno di lavoro, venivano trattenuti nel campo di concentramento, in località Socciglia, vicino a Borgo a Mozzano, ideato proprio a questo scopo. L’amico Luciano Evangelisti, di An chiano, che nel periodo della guerra era bambino, ricorda che “il campo di lavo ro era tutto recintato, dal ponticello della Socciglia alla casa del carbonaro. Le cucine erano vicino alla strada del Brennero, al ponte della Socciglia. I barac camenti dormitori erano più nell’interno verso monte”.10 L’ Evangelisti ricorda che quando sono arrivati gli americani hanno legato le baracche di legno con cavi d’acciaio e, tirando i cavi con i camion, le abbatterono tutte. Mons. Alberto Santucci Importante, per quella massa di uomini pri gionieri, fu, senza dubbio, il conforto e gli aiuti che i Parroci della zona di Borgo a Moz zano riuscirono ad organizzare, coordinati dal Proposto di S. Iacopo, mons. Alberto Santuc ci, sacerdote di grande esperienza che durante la prima guerra mondiale era stato cappellano militare. Scrive mons. Santucci: “Avendo fatto i te deschi un campo di concentramento alla Socciglia, nei pressi di Anchiano, il Proposto si recava ogni giorno là, a visitare e a con fortare i concentrati e spesso otteneva dal comandante tedesco la liberazione di alcuni di essi”.11 Don Santucci era indubbiamente molto in traprendente in questa attività e, per questo, venne addirittura sospettato dai tedeschi di approfittare delle visite per aiutare qualcuno a fuggire. Nelle domeniche e nelle feste di precetto si recava nel po meriggio a celebrare la S. Messa ai concentrati, in virtù di una speciale facoltà concessa della S.Sede; in queste occasioni era accompagnato dal sagrestano, da alcune suore dell’Istituto Figlie di S. Francesco di Borgo a Mozzano e da altre pie persone. Nella Messa della domenica riusciva pure a portare qualche indu mento contro il freddo pungente, e perfino qualcosa da mangiare a quella povera gente. Scrive ancora mons. Santucci: “Porto il conforto materiale e spirituale, vorrei fare di più, ma i mezzi? Quanti dolori! Quante lacrime!”. A visitare i concentrati andavano pure il Pievano di Cerreto don Giuseppe Tolomei, don Ferruccio Fambrini, Parroco di Oneta, il Rettore della Rocca don Jacopo Pasquini e il Rettore di Corsagna don Sergio Giorgi. Di don Giorgi e di don Tolomei riporto più avanti le “cronache”, insieme a quella di don Udone Diodati Pievano di Diecimo. A ricordo di quel campo, nel 1999, a poche settimane dalla conclusione del mio primo mandato di Sindaco, fu posto un cippo con la seguente scrit ta: Questo luogo conobbe le disuma ne sofferenze di patrioti e rastrellati civili in attesa della deportazione in Germania o di un più tragico destino. Ne affidiamo la memoria alle nuove generazioni perché percorrano decise i sentieri della pace. 9.05.1999. Oltre alla firma del Comune di Bor go a Mozzano c’è quella dell’ Amministrazione Provinciale, della Comunità Montana della Media Valle e del la Confederazione Provinciale delle Associazioni d’Arma e Patriottiche. Dall’ottobre del 1943 nei dintorni di Borgo a Mozzano sorgono numerosi cantieri per la costruzione delle fortificazioni, che impiegano anche numeroso personale locale.










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